Numerose ville sono presenti sul territorio comunale di Villorba coi loro ragguardevoli valori storici, artistici e ambientali bene esemplificanti la 'Civiltà delle Ville Venete'. Diciotto di queste residenze sono riconosciute come Ville Venete.
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VILLA GIOVANNINA
La storia di Villa Giovannina, esempio di architettura veneta di fine ottocento, è caratterizzata dal susseguirsi nell'arco di poco più di un secolo di ben 15 proprietari non originari della zona.
La villa deve il suo nome a Giovanna Minto (Mestre, 27/10/1839 - Villorba, 17/02/1912) che assieme al marito Giovanni Cav. Uccelli (Trieste, 21/02/1842 - Fiume, 11/02/1913) ne commissiona la costruzione nel 1881.
Gli Uccelli sono residenti a Trieste ed è proprio nella città asburgica che conoscono l'architetto Luigi Zabeo (Costantinopoli, 14/09/1855 - Trieste, 19/11/1888) già noto a Trieste in quanto progettista di un altro edificio di rappresentanza il Palazzo delle Assicurazioni Generali (comunemente conosciuto come Palazzo Geringer) nonchè decoratore di Palazzo Kalister.
La firma di Luigi Zabeo compare incisa tra le bifore nel lato ovest della villa: L. Zabeo Arch.: eresse.
La Villa, con annessa barchessa adibita a scuderie e rimesse, viene vissuta dai coniugi Uccelli come casa di villeggiatura immersa nella campagna trevigiana.
L'immobile, di proprietà dell'Amministrazione Comunale dal 2006, è stato restaurato e portato al suo antico splendore da recenti lavori eseguiti sotto il diretto controllo della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Ambientali del Veneto Orientale ed ospita oggi alcuni uffici comunali.
Entrando in Villa Giovannina il visitatore rimane incantato dallo splendore e dalla varietà delle sue decorazioni. Purtroppo non ci è dato conoscere il nome dell'artista che ha dato lustro agli interni ornando pareti e soffitti secondo un programma iconografico sicuramente nato da un accordo tra il pittore e i primi proprietari, i coniugi Uccelli.
Di grande impatto il soffitto del salone del primo piano, certamente l'ambiente più solenne, rappresentativo e raffinato della Villa, al quale corrisponde in facciata, nel registro superiore, una ricca e particolareggiata decorazione.
VILLA CORNER
Corner, Felissent, ora Demanio dello Stato
Al centro del tratto che separa i borghi di Santa Maria del Rovere e Sant'Artemio, Villa Corner fronteggia vis a vis il parterre della più scenografica Villa Manfrin.
Con la sua facciata sobria ma, per dimensioni, non priva di imponenza, sorge direttamente sul margine occidentale della Pontebbana come fosse piuttosto un palazzo; denominazione data spesso nei documenti. Del resto, la presenza di un solo edificio di servizio in prosecuzione verso nord, senza traccia di parti rustiche, nonché privo di contiguità diretta con fondi agricoli, dovette segnarne fin dall'origine il carattere più di comoda residenza suburbana che di canonica villa.
VILLA MICHIEL
Michiel, Trevisan, Progina, Perocco della Meduna
La presenza dell'illustre e nobilissima famiglia Michiel, una delle dodici dinastie “apostoliche” della prima aristocrazia veneziana, è confermata già nel 1573 in territorio di Fontane, al ponte di cà michele de San Pancratio. Le fabbriche dominicali e coloniche, costruite nei pressi della quattrocentesca chiesetta di San Sisto, paiono animarsi con nobili presenze nel tardo XVII secolo, quando personaggi della casata veneziana, come tradizione, si prestano a far da padrini ai nati da famiglie coloniche locali.
VILLA FELISSENT
Valmarana, Querini, Veronese, Felissent, ora Ancillotto
Il notevole complesso di villa oggi noto come villa Ancillotto, alle porte di Treviso, a mezzo tra i villaggi di Santa Maria del Rovere e Sant'Artemio, è compreso all'estremo limite meridionale del Comune di Villorba, interritorio un tempo sotto la giurisdizione di Fontane.
Tentando di avvicinarsi alla testimonianza del suo momento d'origine, procedendo a ritroso, cercando ogni possibile appiglio archivistico come una data, un atto, un nome, siamo dapprima approdati all'anno 1685, immaginiamo in una di quelle giornate ancora miti di metà novembre conosciute come “estate di San Martino”; giorni che in campagna vedevano i contadini, persi nella mestizia o colmi di speranza, con i loro carriaggi lasciare ed altri prendere in affittto le terre di altri padroni.
Villa Angaran delle stelle, il Castello di Piovesano e la Chiesa di S. Alberto
Aviani, Angaran, Cornuda, Morosini, Gregorj (Lancenigo)
L'intorno di questa residenza al margine meridionale dell'area di risorgiva del fiume Melma è certamente uno dei più incantevoli e fortunatamente integri angoli di natura dell'intero territorio a nord della città di Treviso.
Le vene d'acqua sorgiva, da cui l'appellativo “Fontane Bianche”, dopo un breve meandro, si uniscono presso l'attuale villa con l'acqua dell'altra grande polla, chiamata fin dal medioevo “Bulgidoro”, posta ad ovest nell'area di Villa Foscolo.
Altri fontanili affioravano numerosi completando il particolare eco-geosistema, come si evidenzia nelle antiche mappe.
Dovette proprio essere la particolare situazione idrografica, che identificava quasi un'isola naturalmente difesa, a motivare in questo sito l'insediamento di quel misterioso castello di “Plovensano”, con annessa chiesa di Sant'Alberto, di cui parlano insistentemente sia i documenti medievali che quelli di epoca successiva.
Si tratta infatti di un edificio eretto nell' XI secolo d.C. sul terreno del vecchio castello di Piovesano e si presenta ad una navata unica con un rosone posto sulla facciata, ornata con maioliche.
VILLA RASPI
Sessa, Raspi, Felissent, ora “Spazio srl”
Situata in Via Chiesa a Lancenigo poco lontano dall'area naturalistica delle “Fontane Bianche”, Villa Raspi dal 1562 di proprietà del noto libraio veneziano Giovanbattista Sessa, diviene nel 1662 la casa di villeggiatura della famiglia Raspi che ne mantiene il possesso fino al 1810.
Mercanti tessili di origine bergamasca ma con antiche radici nel mantovano, i Raspi si insediano a Venezia dedicandosi ai commerci e agli investimenti immobiliari, che gli consentono di acquisire diversi fondi non solo nella città lagunare ma anche a Lancenigo in terraferma.
La Villa, tra il 1810 e il 1820, diviene la residenza dell'illustre e nobile famiglia Felissent per poi essere acquisita nel 1998 dalla società “Spazio s.r.l”, che grazie ad un accurato e attento restauro, la riporta a grande dignità architettonica destinandola a sede prestigiosa per l'Agenzia del Triveneto dei prodotti Benetton. Il corpo centrale, di carattere sobrio, presenta la tipologia canonica della residenza dominicale: forma cubica, tetto piramidale con grandi camini e due lunghe e scenografiche barchesse commissionate dai Raspi all'inizio del Settecento ad un progettista di cui non si conosce l'identità.
Le imponenti barchesse, oltre ad essere utilizzate per il ricovero degli attrezzi agricoli, ospitavano alcuni locali di servizio quali le cucine, le camere dei domestici e qualche stanza adibita a foresteria.
Il linguaggio architettonico scelto denota la ricerca di un tono aulico. Il piano terra presenta ariose arcate a tutto sesto nitidamente e vigorosamente disegnate da bugne. L'attico superiore, scandito da piccole finestre quadrate, ospitava amplissimi granai.
Situato all'esterno del recinto della Villa si trovava un Oratorio adibito ad uso pubblico e dedicato alla Visitazione. Lo stesso venne però demolito all'inizio del Novecento.
Villa Fanna
Venturali, Chittarin, Fanna
In un contesto ambientale miracolosamente rimasto quasi inalterato nel corso di tre secoli, villa Venturali appare immersa nella quiete rassicurante e nella delicata armonia che già dovevano allettare Iseppo e Bernardo ad invitanti soggiorni nelle amenità e nella cura degli interessi derivanti dalla terra. I fratelli venturali , agli inizi del Settecento, godevano di un discreto patrimonio dopo che la famiglia si era trasferita dall'originaria Padova a Venezia, mercato ideale per i più diversi traffici e negozi. Sull'esempio di una classe dirigente alla ricerca di sicurin investimenti e lauti profitti. I cittadini divenuti abbienti impegnavano consistenti risorse nell'acquisto di campi e nella costruzione di case e palazzi dominicali con funzioni di centro direttivo a di controllo aziendale. Tale era la considerazione ed il prestigio di queste famiglie in sede locale che, non di rado, i toponimi prendevano origine dai casati stessi, sopravvivendo alla loro estinzione.
Fabbricato del XVIII secolo, rimaneggiato sulla facciata, ma con la parte retrostante originale. Ampliamenti sono stati fatti in epoca posteriore.
Villa Pastega Manera
Apergi, Antonini, Manera, ora “Fabrica”
Sull'antichissimo percorso che da Carità prosegue a nord verso il “passo” del Piave a Lovadina, presso l'intersezione con la storicissima Postumia romana, appena a nord di questa e del borgo di Catena, è visibile nella rilevazione censuaria del 1719 la casa dominicale posseduta allora dal pittore veneziano Iseppo Zanetti. Nulla di particolarmente rilevante, sulla falsariga di tante costruzioni insistenti su terreni agricoli e perciò finalizzate principalmente al governo delle colture. Nel tempo e con l'accorpamento di ulteriori proprietà, l'insediamento acquistò via via la caratterizzazione di qualificato complesso di villa, grazie all'ampliamento e diversificazione dei corpi di fabbrica, nonché alla costruzione dell'oratorio.
L'area è stata oggetto di ristrutturazione e sistemazione esterne nel periodo 1995- 2000. Ospita attualmente le attività didattiche e di studio di Fabrica. Il progetto di ristrutturazione è stato redatto dall'architetto Tadao Ando.
VILLA ALBINONI
Gaffuri, Albinoni, Nicolini
Una sorta di eccitazione collettiva, simile alla “febbre dell'oro”, nel Veneto del secolo XVII sembrò spingere i cittadini abbienti, nobili e borghesi, veneziani e non, ad acquistare ogni lembo di terraferma disponibile. Ed era nella logica di mercato che i più economicamente favoriti potessero accaparrarsi le posizioni migliori: chi per vero spirito imprenditoriale, chi per semplice investimento, chi per mera affermazione sociale. Dato di fatto è che, con un processo avviatosi tra Quattro e Cinquecento, ma generalizzatosi specie nel Seicento, numerosissime delle case dominicali con annessi fondi agricoli medio-piccoli, dai proprietari locali o dai decaduti conventi cittadini cui assicuravano modeste rendite, passarono soprattutto ai residenti del centro realtino.
E' in tale quadro che Francesco dai Ami da Venetia, illustre sconosciuto ma con il giustacuore gonfio di 1200 ducati, pattuisce l'acquisto di otto campi, on questa località di Lancenigo detta Limbraga, dal q. Iseppo Mazzollo da Treviso l'anno 1586 con la casa Dominical, tezza, forno, pozzo, horto, et suo cortivo, et altre sue ragioni (...).
VILLA CONTARINI
Contarini, Santibusca, Tamossi, Boldrin, Perocco della Meduna, ora Barbin
La villa di Vettor Contarini a Limbraga, nel contesto paesaggistico del luogo, sembra rispecchiare strettamente gli indirizzi fissati da Agostino Gallo fin dal 1550: “A comperar una possessione, la prima, e più importante cosa, è che ch'ella sia pigliata in sito di buon'aere (...) poi debba torla sana di fondo (...)”. In effetti, la cospiqua presenza di aristocratici nella località di Lancenigo è sì legata ad un processo di trasformazione del territorio ma, al contempo, anche al concetto ideale di umanistico otium e villeggiatura. Le favorevoli condizioni ambientali hanno qui invogliato alla costruzione di ville con “le corti e le case per habitatione degli uomini (...) a parte destra e sinistra della casa (...) e come braccia aperte ad un corpo compiuto e perfetto (...) perchè l'unione di queste fabbriche fa una bella vista, si anco perchè a tutte l'hore il padrone può vedere tutte le cose sue. E acciocchè il padrone senza molta fatica possa scoprire e migliorare i suoi luoghi d'intorno e i frutti di tutti quelli possano acconciamente alla casa dominicale essere dal lavoratore portati”.
VILLA SCOTTI
Scotti, Olivi, Persico
L'acquisto di terre nella fertile pianura trevigiana ed il progressivo sorgere delle ville azienda-residenza, si inquadra nella politica veneziana di valorizzazione di vasti fondi poco sfruttati o del tutto improduttivi, avvantaggiata da un poco efficace sistema fiscale. E' altresì ben noto che tale azione costituì motivo per l'affermazione di una identità culturale di classe, vero distintivo che il patriziato veneziano, tanto diverso dal resto delle nobiltà europee, trasferiva in terraferma: ville sontuose riccamente adorne, oasi distensive abbellite da giardini, broli e peschiere, affiancate da cortili e barchesse per i lavori agricoli, dalle abitazioni di maestranze e coloni, nonché dell'oratorio pubblico-privato. Con la stessa determinazione, ma con alterni risultati, determinati dalla diversità degli investimenti, si sono inseriti nel fenomeno delle ville, specie dal Seicento, anche patrizi veneti di fresca nomina e già cittadini del Dogado, assieme ad esponenti dell'antica nobiltà feudale secolarmente radicata sul territorio locale.
VILLA BELLINCANTA
Bernardi, De Marchi, Bellincanta, ora del Piccolo e Zanatta
Sono poche e frammentarie le notizie relative a questa piccola villa presente a Lancenigo presso i campi detti “alle Codette”, edificata nel Settecento su una preesistente casetta in muratura già posseduta da tal Zuane Bernardi.
Alla fine del XVII secolo quest'area era ancora compresa tra i beni comunali di Lancenigo. Secondo gli ordinamenti di origine medievale, erano questi dei fondi riservati alla comunità locale per il pascolo di bovini ed ovini. Tuttavia, in conseguenza delle pressanti emergenze economiche imposte alla Serenissima specie per le guerre del secolo XVII nel Mediterraneo orientale, questa preziosa a antica risorsa dovette soccombere. Così i beni comunali, sottratti all'uso della comunità, furono in più riprese alienati e privati che vi organizzarono le proprie aziende agricole. Da allora, il paradosso che il contadino dovette quotidianamente comporre, ma dal quale non aveva via d'uscita, era dettato tanto dalla necessità di doversi avvalere di animali per il suo lavoro, quanto dall'impossibilità a provvedere al loro sostentamento, poiché ogni spazio disponibile delle terre padronali era riservato alla coltura cerealicola. Oltretutto, gli animali erano indispensabili anche per l'apporto alla concimazione di terre sempre più impoverite.
VILLA CATTI
Pollani, Catti, Francesconi, Gradenigo, ora Galletti di San Cataldo
Lo scambio di corrispondenze alla metà dal XIX secolo tra mons. Pellizzari ed Antonio Francesconi, rinvenuto nell'archivio Galletti, getta luce sulle vicende più antiche di questa bella villa, attraversata dalle acque della Limbraga. Quest'area era gravata da un antico livello, dovuto al Canonicato di Treviso fin dal tempo in cui l'usufruttuario rev. Bernardo Zane la concesse nel 1502 in affittanza al fratello Michele per 26 ducati annui.
VILLA PORRI
Porri, Nini, Maso
Nel XVII secolo i territori contigui di Lancenigo e Limbraga si presentavano costellati di case dominicali di agiati cittadini, di Venezia e di Treviso, richiamati dalla ricchezza d'acque e dalla fertilità del suolo. I Porri, trevigiani, costituirono la loro residenza di villeggiatura con cortivo et horto ed un corpo di casette murate coperte di coppi in affito alla Carità, vicinissima alle sorgenti della Limbraga, dopo che avevano eletto la loro residenza cittadina nella contrada di Santo Stefano.
Nel prestare fede alle cronache, il comportamento della famiglia non era né virtuoso né irresponsabile, a cominciare dai contrasti col pievano del Capitolo di Sant'Angelo a Venezia per questioni d'interesse; vicende che si trascinarono per anni nei tribunali per l'ostinazione della vedova di Domenico Porri, Catterina Favari, continuate poi dal figlio Giobatta, poiché (...) la sua infermità et indisposizione non meno che per la sua avanzata età s'è resa inhabile al moto così che è costretta vivere continuamente confinata nella sua camera e con quel più porta la verità dè suoi incomodi”.
VILLA DONA' DELLE ROSE
Panzierotto, Donà delle Rose, Tononi, ora de Lassotovich
La più antica attestazione ritrovata riferita a questo piccolo, gentilissimo complesso di villa definito come casa dominicale e da gastaldo, risale alla seconda metà del secolo XVII e fa riferimento al possesso di un non meglio conosciuto Giulio Panzierotto, veneziano. Pochi anni più tardi, nella casa dominical, barchessa, cortivo et horticello succedette la vedova Martina Rusalen.
Purtroppo, per tutto il successivo periodo settecentesco i documenti non hanno ancora restituito notizie di personaggi e vicende proprietarie relative a questa residenza.
Pertanto, dobbiamo compiere un lungo salto fino al fatidico 1797 ed all'arrivo nel Veneto dei soldati di Bonaparte. L'anno iniziò con una diffusa inquietudine e con la paura dei Francesi, che si trasformò poi in odio deciso a causa dei maltrattamenti e delle violenze di ogni genere, in aggiunta alle continue requisizioni che terrorizzarono e ridussero alla fame la popolazione. Non mancarono in questo contesto episodi significativi e vendette isolate, come accadde in quel 22 Settembre, quando si trovò un soldato francese morto nel palazzo di Giovanni Fontaniva a Lancenigo.
VILLA TIRONI
Bomben, Berton, Tironi, Antonini, Viterbi
Io Cecilia Bombena, figliola del qm. Sig. Alessandro Bomben, relicta del qm. Sig. Baldissera Manfredi, lascio (...) a Bortolomio Bertone mio nipote (...) il mio loco Dominicale di Piovenzan, cioè casa, giardino, orto, brolo, con tutte le mie possessioni (...) due fabbriche Vecchia e Nuova da me fatta fabbricare, un molino da due rode (...) e chiesetta di casa da me fatta fabbricare.
Buona parte di questi beni erano pervenuti alla nobile Cecilia Bomben intorno al 1680, in seguito alla controversa divisione con la sorella Elena dell'eredità lasciata dallo zio materno Mario Azzallin.
Alla sostanza già di sua proprietà ella aggiunse la possessione grande de C (campi) 75 in villa di Piovenzan ed il molino locato a Zan Batta Zangrando, con Pigione di formento stara 54 oltre l'honoranze.
Mercanti di origine fiorentina, i Bomben giunsero nel trevigiano intorno al 1300, dove attesero al vivere politico e civile, chi nella milizia et chi nelle attioni pubbliche della città, tanto che nel 1411 furono ufficialmente accolti nella cerchia nobile trevigiana.
VILLA FONTEBASSO
Fontebasso, Galanti, Celotta
Fino al 1730, in una casa di muro con un piccolo pezzo di terreno “alla Melma” abitava da circa una quarantina d'anni il parroco di Lancenigo rev. Donà Venturato. Niente che facesse pensare ad una villa; piuttosto, una modesta ma dignitosa dimora come si conveniva ad un pievano di campagna. Così dovette rimanere anche per gli ignoti successori, fino alla metà del Settecento circa, quando si avviò la ristrutturazione per ricavarne una piccola residenza dominicale un poco più qualificata; quasi certamente non per opera do Giobatta Gobbi che nel 1810 possedeva l'edificio, definito “casa d'affitto”; personaggio che sappiamo incontrare umane difficoltà con i propri fratelli, uno sordo e muto, l'altro da molto tempo assente senza notizie del medesimo.
VILLA LOMBRIA
Barozzi, Lombria, Priuli, Casellati, Gobbato, ora Ciotti
La villa, le cui origini non sono storicamente chiarite per la mancanza di riferimenti incrociati, compare già in una mappa dal 1611 appartenente al fondo archivistico del monastero di San Nicolò. Nella stessa i proprietari sono indicati come eredi di messer Cesare Baroci. All'epoca questa illustre famiglia veneziana Baroci, ossia Barozzi, dopo aver conosciuto intorno ai secoli XVIII e XIV le maggiori fortune, percorreva già la sua parabola discendente. Da tale tendenza essa non si solleverà più, tanto che nel Settecento appartiene manifestamente a quella nobiltà “barnabotta” che vive di modeste commesse e vili servizi al soldo dello Stato. Ma antica e nobile è la sua origine, essendo addirittura annoverata fra le dodici casate “apostoliche” che, eleggendo il primo doge, diedero vita alla millenaria esperienza della Serenissima Dominante. Cronisti ed agiografi antichi vogliono capostipite dei Barozzi il doge Galla, filo-franco salito brevemente al potere nel 756-7 dopo aver deposto ad accecato il predecessore Diodato, filo-longobardo; am venne travolto nella momentanea rivincita del re longobardo Desiderio.
VILLA ZOPPETTI
Zoppetti, Savini, Pietroboni
Verso la fine del Settecento Carità si presentava alquanto diversa dall'attuale: sulla strada per Catena, poco oltre l'incrocio, si stagliava la mole di villa Angeloni, con l'oratorio situato proprio all'inizio della via, sulla biforcazione con la statale Pontebbana sorgeva Villa Zoppetti, di più recente costruzione; al di là, verso Fontane, la casa dominicale con barchesse, osteria, caffetteria, stalle, casa d'affitto del Franceschi, quindi Savini; poco lontano, sulla strada detta dei Prà Magri, la casa dominicale dei Condotta.. Quest'ultimi erano figure di secondo piano, che avevano goduto nella loro ascesa economica dei radicali cambiamenti intervenuti all'indomani della caduta di Venezia.
VILLA ZANETTI
Situato tra Treviso e Villorba, il complesso di Villa Zanetti si attesta lungo la Statale 13 Pontebbana, storica arteria di collegamento tra Venezia e l'Austria. Il tracciato appare caratterizzato dalla straordinaria continuità di quella "civiltà di villa" che così tipicamente connota il paesaggio veneto.
Le prime tracce cartografiche di Villa Zanetti, allora denominata Palazzo Trentin, risalgono al Settecento ma il primo nucleo edificato - la barchessa - appartiene al secolo precedente.
Nel tempo, si sono succeduti diversi interventi, di cui il più recente appare nei tardi anni Venti, restituendo un volume principale dal compatto e stereometrico prospetto di rappresentanza.
Nel 2004, l'imprenditore trevigiano Massimo Zanetti decide di infondere nuova vita alla storica dimora di famiglia, scegliendo di destinare il corpo della villa alla Fondazione Zanetti Onlus e gli spazi della barchessa alla direzione generale del Gruppo Massimo Zanetti Beverage.
Nel suo vasto parco tuttora riecheggiano civiltà e benessere: la tradizione intima del brolo veneziano-orto urbano in cui si fondono esigenze ornamentali e produttive e l'alta, rilassante prospettiva di quel viale alberato che tratteggia e disegna la campagna.
In corrispondenza della fontana anni Trenta che fronteggia la villa, è collocata la grande scultura "Punto dello spazio" del Maestro Arnaldo Pomodoro, che sta a simboleggiare la rinascita contemporanea di questo luogo.